«Come si può raccontare una storia, una vita? Come si può raccontare del dramma del giusto ingiustamente condannato, dell’uomo mite vigliaccamente trattato con violenza, dell’uomo buono sul quale ha infierito la cattiveria, dell’uomo sincero screditato da false testimonianze? Si può raccontare la storia di Gesù e tante storie di crudeltà e di violenza come si racconta una cronaca, con il distacco del cronista, con la banalità, con la superficialità sbrigativa di chi cerca un titolo ad effetto; si può ascoltare il racconto, con il distacco e l’indifferenza di chi segue il notiziario». Ma si può parlare di tutto questo anche «con il grido della protesta, con la parola aspra della denuncia, con il risentimento che muove alla rivolta, con la ribellione che vuole contestare il potere e la vigliaccheria del forte che opprime il debole». Si può entrare «in questa storia tutta sbagliata e tragica», chiedendo rabbiosamente “perché?” e chiamando, come sempre, in causa Dio. E, poi, si può, invece, pregare. «Noi abbiamo scelto di entrare nella storia di Gesù con le parole dei Salmi e abbiamo ritenuto che il modo più penetrante e più vero, il percorso più intelligente e più necessario, fosse la via della preghiera». Quella, appunto, dei Salmi che, scritti dal popolo di Israele «per raccontare la sua storia come storia di salvezza, sono stati raccolti dalla Chiesa per interpretare la storia di Gesù e la propria storia come storia della fedeltà di Dio alle sue promesse». Così il popolo di Dio – fatto non di curiosi, di arrabbiati o di ribelli perenni -, sta davanti alla croce ed entra, fino in fondo, nel mistero della Passione del Signore.
+Mario Delpini, Arcivescovo, Milano, 15 marzo 2019
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